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   Storie » In mezzo al mare con la morte nel cuore  
 
Pubblicato Lunedì 9 Ottobre 2006 da Ospite
 
 

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Driiin…. Driiin…. (il telefono nella casa di Fregene ancora suona così)

Pronto? (sono le sei di mattina)

Sono il medico di guardia del Sandro Pertini, posso parlare con?

Mi dica sono il figlio

Suo padre, alle cinque e mezza, si è aggravato e, e, ehm

E’ deceduto

Si

Grazie, arrivo.

Mi vesto, corro giù dalle scale, annuisco all’incontro del mio dolce zio, accendo lo scuterone e volo.

Ricordo solo direttamente l’Aurelia e il Raccordo. La stradina no. Fine agosto, mattina presto, gran traffico, volo.

Ospedale, papà già non è più dove il giorno prima era, tra le mie braccia, stanco ed assetato a dettarmi il suo necrologio virile, da guerriero della seconda guerra, galantuomo d’altri tempi, finiva così: non fiori ma opere di bene.

Era già via, in quell’impersonale posto, freddo ad aspettarmi. Mi specchio sul suo viso dormiente, quello sono io e così tutti gli uomini. Fermi, immobili, in un silenzio eterno che sa di pace. Il portantino mi sottolinea lo strappo alla regola, saluto papà e vado, senza piangere, con la morte nel cuore. Avverto la mia stupenda sorella che va a coccolare mamma. Il vento caldo di scirocco piega gli alberi, l’istinto è quello di pensare al mare, sento che è lì che devo andare tra le mie onde, le mie secche. Arrivo al Gabbiano, qualche parola confortante ma il mio pensiero è lì in mezzo al mare. Corro diretto al rimessaggio che il mio grande amico Pietro ci ha messo a disposizione per noi che facciamo windsurf . Vento forte. Il mare finalmente lo vedo, gonfio, è proprio il mare che preferisco. Monto l’attrezzatura mentre osservo il solito Lorenzo volteggiare come un uccellino su quelle onde senza serie, continue, incessanti. Sorrido. Corro a riva, respiro profondamente e mi lancio veloce in quel mare che papà mi ha regalato con passione e veloce vado a largo. La prima e la seconda secca passano via come l’Aurelia e il Raccordo. Le onde, fuori, diventano grandi e tonde, belle ed accoglienti, sono lontano, finalmente, lo sento, lo urlo, io e papà.

Il mare lo amava più di ogni altra cosa e questo amore me lo ha trasferito senza saperlo. Forse se un genitore non insegna, il figlio impara. Lo amava a tal punto che con la scusa del giornalismo si inventò un servizio sui pescherecci di Fiumicino e familiarizzò subito con un equipaggio. Erano i pescatori del “Radiana”, bello, bianco e poco arruginito. Sentivo accendere l’inconfondibile motore dell'Alfa Romeo, nel giardino di Fregene, il minimo di quella macchina faceva tremare un vetro della veranda. Erano le tre di notte, (gli orari strani hanno cadenzato la vita di mio padre, tornava alle sei di mattina dal giornale, ricordo i suoi passi che facevano il giro dei figli prima di andare a letto) cigolio del cancello e via, a fare il mozzo sul Radiana, ho ancora le foto di lui con lo scafandro che pulisce il ponte. L’ha fatto per parecchio tempo, nessuno lo sa e nessuno se lo immaginerebbe. A volte tornava stravolto perché fuori aveva trovato condizioni toste e ci raccontava, a cena, gustando i suoi polipi e le sue spigole, la burrascosa nottata di pesca.

Stanco torno a riva, mi inchino guardando per terra, le mani stringono appena sopra le ginocchia, ho il fiatone, sono soddisfatto, sento una mano sulla schiena, Lorenzo mi saluta e capisce, dalle mie lacrime, quello che è successo. Siamo soli sulla battigia, davanti al mare, lo scirocco lavora ancora bene, lui stanco da una giornata di vento mi scalda con lo sguardo e mi conforta. Purtroppo solo lui capisce la dolcezza del mio volare su quelle onde in quel difficile momento della mia vita.

So che qualcuno si è offeso, in famiglia. Ma il mare ha un valore forte, che sento come un’entità e il mare di Fregene lo è perché è particolare. Sporco ma che non ci ha mai fatto niente. Cattivo ma non ci ha mai fatto affogare (noi che lo conosciamo). Calmo che ha accolto noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli. Rumoroso ma che ci ha conciliato il sonno. Giusto che mi fa stare con i giusti ogni volta che lui lo vuole. Non sempre, anzi raramente, ci sono le condizioni per poter fare quello che ho fatto il 24 agosto 2004 e io nel mio essere intimamente pagano sento che papà mi ha regalato quelle condizioni: mi ha staccato da tutti e mi ha avuto tutto per se, come lui voleva negli ultimi giorni della sua vita. Lo sentivo, lo vedevo tra le onde, mi consigliava giusto nel difficile e impegnativo urlante mare.

A casa, a cena, tra noi, un vuoto. Una processione di pescherecci lontano, all’orizzonte, nel buio accarezza il mare e papà si fa accarezzare da loro.

Michele d’Asaro

 
 
 

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